Lo stoicismo romando abbandona la tendenza eclettica cercando di tornare alle origini, ma restando pur sempre influenzato in parte dal platonismo, e lasciando in secondo piano la coerenza di un sistema filosofico, concentrandosi quasi esclusivamente sull’aspetto etico della filosofia. Gli stoici romani credono ancora all’eterno ritorno e all’universo come entità divina, ma non ne fanno un problema filosofico perché la loro ricerca consiste nel capire come poter vivere al meglio la propria vita. Dunque sentiamo parlare di felicità, passioni, virtù, dolore, tempo, economia, politica e società (tutte le questioni dell’etica), mentre la disciplina della Logica, parte fondamentale dello stoicismo greco, non viene più nominata. Mentre i greci pensano la filosofia come uno stare al mondo, tra gli altri, e basavano gli insegnamenti di conseguenza focalizzandoli sul rapporto tra sé ed il mondo, i romani si concentrano sull’aspetto individuale, sul rapporto con sé stessi, aggiungendo questo nuovo carattere allo stoicismo: l’interesse per la propria interiorità.
I principali stoici romani sono: Seneca, Epitteto e Marco Aurelio. Seneca scrisse molte opere di carattere morale e religioso, alcuni estratti di queste opere vengono tutt’ora letti e studiati nelle scuole secondarie, non solo per cultura generale, ma per la loro importanza ed attualità. Tra le opere più importanti ricordiamo: De providentia, De ira, De vita beata, De tranquillitate animi, De brevitate vitae, e le lettere a Lucilio. Dalle sue opere scopriamo che Seneca, influenzato da Platone, crede in un dualismo tra anima e corpo, dove il corpo è un vincolo, una sorta di prigione, mentre l’anima è la vera essenza dell’uomo, che tende verso la purezza e con la morte si libera per iniziare una nuova vita. In linea di massima gli stoici romani c’insegnano a dominare le nostre passioni, a condurre una vita pubblica e politica attiva pur curando la nostra parte interiore, ci raccomandano di non lasciar fuoriuscire l’ira altrimenti questa ci trascinerà con sé, ci dicono di mettere da parte l’ego ricordandoci che siamo solo una piccolissima parte effimera dell’universo che non c’è stata per un’eternità e presto smetterà di esserci per un’altra eternità, ricordandoci tuttavia l’importanza del tempo a nostra disposizione, tempo che se ben speso può risultarci abbastanza per condurre una vita piena ed appagante.
Ci è stata data un vita abbastanza lunga e per il compimento di cose grandissime, se venisse spesa tutta bene; ma quando si perde tra il lusso e la trascuratezza, quando non la si spende per nessuna cosa utile, quando infine ci costringe la necessità suprema, ci accorgiamo che è già passata essa che non capivano che stesse passando. È così: non abbiamo ricevuto una vita breve, ma la rendiamo tale, e non siamo poveri di essa ma prodighi. Come ricchezze notevoli e regali, quando sono giunte ad un cattivo padrone, in un attimo si dissipano, ma, sebbene modeste, se sono state consegnate ad un buon amministratore, crescono con l’uso, così la nostra vita dura molto di più per chi la dispone bene.
-Seneca, De brevitate vitae