L'ultimo uomo di Nietzsche

Nietzsche definisce l’ultimo uomo come l’essere più disprezzabile, colui che non sa più disprezzarsi, colui che non è capace di partorire stelle perché privo di spinta vitale. “La sua razza è inestinguibile come quella della pulce di terra; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti”. L’ultimo uomo, al contrario dell’oltreuomo, è immerso nel nichilismo passivo, non si è creato da sé nuovi valori, e vive inseguendo i piaceri immediati della vita, raggiungibili anche attraverso l’utilizzo dei narcotici, i quali gli procurano sogni piacevoli. L’ultimo uomo è conformato alla massa, non ha una volontà propria: segue la volontà del gregge.

Nietzsche parla esplicitamente dell’ultimo uomo nella prefazione di “Così parlò Zarathustra”, ma questo concetto viene ripreso in altri suoi scritti, infatti in “Ecce Homo” Nietzsche ci fa presente che Zarathustra utilizza il termine “ultimi uomini” o “il principio della fine” per definire coloro che vengono considerati come i “buoni” e li considera la specie più dannosa di uomini.

“I buoni, infatti, non sono capaci di creare: essi sono sempre il principio della fine: essi crocifiggono colui che scrive valori nuovi su tavole nuove, essi immolano a se stessi l’avvenire, crocifiggono ogni avvenire dell’uomo! I buoni – costoro furono sempre il principio della fine”.

-Ecce Homo, Nietzsche

Per Nietzsche l’uomo buono è lo schiavo ideale: siccome non può stabilire come scopo sé stesso, onora istintivamente la morale della spersonalizzazione e si pone come ingranaggio di una macchina, come parte di un gregge, seguendo valori che gli altri hanno scelto per lui: non vive per sé stesso, ma per gli altri. L’ultimo uomo vorrebbe castrare ogni grandezza e rendere tutti suoi simili, ovvero mansueti e mediocri, così da sradicare sul nascere qualsiasi possibile minaccia alla sua condizione e al suo benessere – la paura è la madre della morale. Nietzsche ripete molte volte che l’uomo forte e ben riuscito, colui che vale, è sempre odiato dalla massa e dai più deboli, e tutto ciò che è stato definito come progresso negli ultimi secoli, in Europa, non è stato nient’altro che la realizzazione della morale del gregge, la quale risponde all’imperativo: “Noi vogliamo, che a un certo punto non ci sia più motivo di temere”.

“Nel concetto dell’uomo buono si è preso il partito di tutto ciò che è debole, malato, malriuscito, sofferente-di-se-stesso, di tutto ciò che deve perire –, si è invertita la legge della selezione, si è fatto un ideale di ciò che contraddice l’uomo fiero e benriuscito, colui che dice sì, che è certo dell’avvenire, che è garante dell’avvenire, – questi ormai viene chiamato il malvagio… E tutto questo fu creduto come la morale!”

-Ecce Homo, Nietzsche

L’ultimo uomo rappresenterebbe quindi l’antitesi dell’oltreuomo, nel mio libro “I dolori dell’ultimo uomo” dico che entrambi nascono su un terreno di nichilismo, ma se l’oltreuomo è colui che riesce a oltrepassare la morte di dio, l’ultimo uomo è colui che si ritrova con un dio morto tra le mani e non ne affronta le conseguenze, anzi, subisce passivamente l’accaduto. L’oltreuomo riesce ad emanciparsi dai fantasmi del passato, e inventa i suoi proprio valori attraverso i quali vivere una vita autentica. L’ultimo uomo, invece, essendo privo di volontà di potenza, non crea nulla, resta una vittima delle circostanze, e vive la vita che qualcun altro ha scelto per lui.

Antonino Leo

di Antonino Leo

Filosofo, scrittore, divulgatore e fondatore del progetto filosofia contemporanea.

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