Kierkegaard

Søren Kierkegaard

Le scelte e l'angoscia per Kierkegaard

La filosofia di Kierkegaard si pone in netto contrasto con quella di Hegel, se quest’ultimo era il filosofo dell’essenza e dell’universalità, Kierkeggard si poneva come il filosofo dell’esistenza e del singolo. Hegel è stato il culmine del pensiero idealistico e razionale, egli vedeva la ragione come la forza motrice dietro lo sviluppo storico e il progresso umano, sostenendo addirittura che tutto il reale coincide con il razionale. Kierkegaard, invece, ha messo in discussione la validità della ragione come strumento per comprendere appieno la realtà, sottolineando che quest’ultima è perlopiù irrazionale, dunque l’esperienza soggettiva e la fede hanno una maggiore importanza.

Kierkegaard utilizza le figure di Adamo ed Eva per spiegare il suo concetto dell’angoscia. Egli individua l’innocenza nell’ignoranza, nell’unione immediata con la naturalità, una situazione simile a quella dell’animale che agisce per istinto e senza razionalità, con la differenza che nell’animale lo spirito non è presente, mentre nell’uomo si trova come in uno stato sognante. Adamo, prima di compiere il peccato originale, si trovava in uno stato d’innocenza, e soltanto la colpa scaturita dal peccato lo toglierà da quello stato d’innocenza. In quel momento, infatti, egli otterrà la conoscenza del bene e del male e si vergognerà della sua nudità: l’innocenza è perduta perché non vi è più l’ignoranza.

“In questo stato c’è pace e quiete; ma c’è, nello stesso tempo, qualcos’altro che non è né inquietudine né lotta, perché non c’è niente contro cui lottare. Allora che cosa c’è? Il nulla. Ma quale effetto ha il nulla? Esso genera l’angoscia. Questo è il profondo mistero dell’innocenza: essa nello stesso tempo è angoscia. Sognando lo spirito, proietta la sua propria realtà; ma questa realtà è il nulla, questo nulla l’innocenza lo vede continuamente fuori di sé.”

Nel momento in cui Dio da un divieto ad Adamo ed Eva, dicendogli di non mangiare dall’albero della conoscenza, ma gli lascia la libertà di potere trasgredire, si crea la possibilità della scelta. Prima di quel momento, l’essere umano nella sua ignoranza non era limitato in alcuna condizione, non aveva la possibilità della scelta dinanzi a sé, ma dopo essere entrato a conoscenza dell’albero dal quale non avrebbe dovuto mangiare, ecco che lo spirito inizia a proiettare la sua propria realtà fuori di sé: la possibilità di poter mangiare dall’albero della conoscenza ed esplorare una nuova condizione, una condizione che in questo momento è ignota. Così nasce il desiderio di voler scoprire ed esplorare questa nuova realtà, ma nasce anche l’angoscia causata dalle infinite possibilità che ci si prospettano dinanzi, dall’ignoto, dalla limitatezza che deriva dal dover scegliere un percorso e rinunciare ad un altro. 

Kierkegaard definisce il suo concetto di scelta utilizzando il termine “aut-aut” (o uno o l’altro), che indica proprio quella condizione in cui si può scegliere solo una cosa, rinunciando all’altra. L’aut aut è una chiamata a prendere una decisione personale e ad assumersi la responsabilità delle conseguenze che ne derivano. La scelta vista sotto questo aspetto si carica di un peso enorme, perché segna per sempre la direzione della nostra vita, definendo irrimediabilmente ciò che siamo. Anche da questo scontrarsi con la finitezza sopraggiunge l’angoscia, che viene definita come la vertigine della liberta, ovvero come l’esperienza della possibilità assoluta:

“L’angoscia si può paragonare alla vertigine. Chi volge gli occhi a un abisso è preso dalla vertigine. Ma la causa non è meno nel suo occhio che nell’abisso: perché deve guardarvi? Così l’angoscia è la vertigine della libertà, che sorge mentre lo spirito sta per porre la sintesi, e la libertà, guardando giù nella propria possibilità, afferra il finito per appoggiarvisi. In questa vertigine la libertà cade.”

Il tipo di persona che siamo dipende da quali scelte decidiamo di fare nella vita, ogni scelta ci definisce in un determinato modo ed esprime il nostro carattere. Ad esempio, se scelgo di mangiare tanti dolci fino a star male, vuol dire che sono una persona ingorda che si concentra di più sull’attimo presente senza preoccuparsi del futuro. Kierkegaard individua tre tipi di modalità esistenziali secondo le quali si può vivere: c’è la vita estetica, la vita etica e la vita religiosa. Queste sono diverse e separate tra loro, e per passare dall’una all’altra c’è bisogno di fare un salto sopra l’abisso, poiché non c’è una via di mezzo: o si vive in un modo, o nell’altro.

Vita estetica

La vita estetica è una vita all’insegna del piacere, della soddisfazione immediata, senza progetti di vita ed impegni che potrebbero limitare le possibilità d’azione. Dunque l’esteta rifiuta anche l’etica tradizionale, perché questa non gli permetterebbe di soddisfare tutti i desideri che vorrebbe. La figura che meglio rappresenta questo tipo di vita, è quella del Don Giovanni, che rappresenta l’archetipo dell’esteta e del seduttore che vive alla ricerca continua di nuove conquiste amorose e di piaceri sensuali. Egli vive nel presente, di attimo in attimo, ed ha tagliato ogni legame con il passato così da non avere alcuna responsabilità verso le donne che ha sedotto. Il suo unico obiettivo è quello di soddisfare i suoi desideri sessuali, in modo estremamente egoistico, senza preoccuparsi delle conseguenze delle sue azioni. Così facendo crea un’esistenza vuota, priva di valori e di legami umani duraturi: una vita inautentica.

Una persona che vive in questo modo, che sperimenta tutto ciò che rientra nella sue possibilità, ad un certo punto inizia a provare indifferenza nei confronti di ogni cosa. Perché non avendo mai preso impegni, non ha neanche definito la sua identità, dunque ora egli è nessuno e non desidera nulla in modo profondo. Così sopraggiunge la noia, causata proprio dalla mancanza di scopo nella vita, che fa fermare l’esteta e lo fa riflettere sulla propria condizione, allora si rende conto di non aver costruito niente e viene assalito dalla disperazione.

Vita etica

La vita etica è opposta a quella estetica, infatti qui la soddisfazione immediata viene sacrificata in favore di un progetto di vita. Chi vive seguendo questa modalità, compie le sue scelte sulla base di norme e valori, perseguendo quelli che ritiene degli ideali più alti. Una vita di questo tipo è dunque una vita impegnata, nella quale ci si assume le responsabilità delle proprie azioni, e ci si comporta in modo coerente con la morale comune. Per Kierkegaard la figura che meglio rappresenta questa modalità esistenziale, è quella del marito, il quale si contrappone alla figura del seduttore: il marito ha una sua identità, ha un passato ed un futuro verso il quale si proietta, ma soprattutto vuole creare una famiglia ed educare i propri figli, ha quindi un progetto di vita. 

La persona che vive in modo etico, però, segue delle rigide convenzioni, per questo l’espressione della sua unicità viene molto limitata e rischia di dissolversi nella massa attraverso la ripetizione delle stesse scelte che compiono tutti. Anche in questa modalità, quindi, non si vive una vita autentica, quest’ultima si trova nella sfera religiosa, che richiede un salto di fede individuale e una relazione personale con il divino. 

Cosa è l’estetica nell’uomo, e cosa è l’etica? A ciò risponderò: l’estetica nell’uomo è quello per cui egli spontaneamente è quello che è; l’etica è quello per cui diventa quello che diventa.

Vita religiosa

La vita religiosa è basata sulla fede e caratterizzata da un rapporto individuale con Dio. Di fronte a lui l’uomo viene messo a nudo, e i valori etici non sono più il principale punto di riferimento per compiere delle scelte, perché la volontà divina può essere discordante da questi valori e apparire del tutto irrazionale all’occhio umano. Kierkegaard utilizza la figura di Abramo per descrivere l’atteggiamento religioso, siccome egli risulta essere l’uomo di fede per eccellenza. Perché quando Dio gli chiede di sacrificare il proprio figlio, Abramo accetta di compiere l’atto di fede e di andare contro la ragione comune. In una situazione simile, infatti, chiunque penserebbe che uccidere il proprio figlio sia una follia e una cosa ingiusta da fare, ma l’uomo di fede riesce a trascendere il senso comune e agisce in corrispondenza della volontà divina. Ricordiamo che Dio chiede ad Abramo di sacrificare il figlio diletto Isacco, e poi Dio ferma Abramo nel momento in cui stava per compiere l’atto. Tutto questo perché Dio voleva una testimonianza della fede assoluta di Abramo.

L'angoscia e la disperazione

L’angoscia è il sentimento che sopraggiunge davanti all’ignoto causato dalla libertà, davanti alle infinite possibilità che ci si aprono davanti e che non possiamo perseguire tutte perché siamo esseri limitati. Scegliere una strada significa annullare, escludere, irrimediabilmente tutte le altre. Davanti a questa condizione l’essere umano ha paura, non una paura di qualcosa nello specifico, ma una paura generalizzata, causata dalla possibilità di fare la scelta sbagliata e rimpiangere quelle alternative. La paura di non poter mai più afferrare quello che abbiamo perso dopo aver compiuto una scelta. Per questo l’angoscia è un sentimento che caratterizza l’esistenza umana in quanto tale: è il sentimento della libera scelta. 

Per Kierkegaard esiste anche una forma di angoscia portata all’estremo, che emerge quando l’individuo si scontra con l’impossibilità di realizzare la propria autenticità, questa è la disperazione. Se l’individuo sceglie di vivere una vita estetica, si troverà di fronte al vuoto causato dal non aver costruito niente; se l’individuo sceglie una vita etica, si troverà di fronte a norme e regole sociali imposte dall’esterno. In entrambi i casi l’individuo arriva alla disperazione, attraverso un conflitto interiore causato dalla mancanza di autenticità. La disperazione, secondo Kierkegaard, poteva essere superata solo attraverso la fede religiosa e la relazione personale con Dio.

Antonino Leo

di Antonino Leo

Scrittore, divulgatore e fondatore del progetto filosofia contemporanea.

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